/mat·tàn·za/
Federico Quaranta

Il canto del Rais si leva,
sul mare blu scuro intenso a fare da sfondo,
come una nenia antica,
una supplica al vento.
Accompagna il lento e cadenzato movimento sincrono di cento mani nell’atto di tirare le reti,
mentre il sole si tinge d'oro ai vespri di Giugno.
Le voci dei pescatori si mescolano a quel gorgheggio,
in un coro sacro,
una preghiera che s'innalza grave verso il cielo.
L’eco della baia risponde.
Rispettoso, reverenziale, mistico,
quel suono arcaico avvolge tutta la scena,
mentre la camera della morte, palmo a palmo, si solleva,
carica di doni e di pesanti promesse.
In quella atmosfera sospesa, pregna di tensione dell’attesa,
il canto, come un piffero magico, conduce i tonnaroti verso lo scontro finale.
Un susseguirsi di gesti precisi, di movenze calibrate,
una danza esatta in armonia con la risalita della rete che come una culla svela, man mano, tutto il mistero del mare.
E così, tra quella melodia scandita e lo sciabordio delle onde, all’ordine che risuona perentorio, la camera della morte comincia a ribollire di rosso carminio.
Grida, schizzi, tonfi, schiaffi e colpi frenetici.
L’epica e primigenia battaglia raggiunge il suo culmine,
furibonda e feroce.
Come ogni anno,
la macabra danza si volge in tragedia e il destino si compie.
Un crudele ed efferato rituale
ma al contempo puro, sacro,
traboccante di ossequio, riguardo e di gratitudine, verso quel mare generoso che dona il suo segreto, solo ai figli suoi.
L’ultimo tonno è arpionato, e con il silenzio che torna, l’acque si stingono e le onde si placano.
Il Rais…  ora tace!

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fotografie di Giovanni De Angelis
1 giugno 2014
©2014-2024
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